Augusto Contini è uno dei 700 operai della “OM” ancora vivi convocati per l`inchiesta della procura. "Così l' amianto usato alla Fiat mi ha intossicato i polmoni". Dopo 28 anni in fabbrica respiro solo con l'ossigeno " Spero che la magistratura faccia luce". Ma forse «quando succederà, io non ci sarò più». Augusto Contini, 77 anni, parla con affanno. «Ho i polmoni pieni d`amianto e senza ossigeno non respiro». E una delle vittime dell`amianto alla “OM” Fiat di via Pompeo Leoni, a Milano, l`ex fabbrica su cui la procura ha avviato una monumentale inchiesta: sul tavolo del pm Maurizio Ascione c`è un elenco di settecento lavoratori, acquisito dalla Asl, da sentire come testimoni.
I primi accertamenti si sono scontrati con il silenzio della Fiat Iveco, che ha fatto sapere di «non essere in grado di fornire notizie circa l`attività svolta, dato il lungo tempo trascorso». Ma c`è chi ha già raccontato di aver visto con i suoi occhi «l`amianto spruzzato e applicato nei vagoni» e «le lavorazioni svolte in ambienti polverosi in assenza di impianti di aspirazione e senza l`utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie». Contini conferma tutto. Che cosa ricorda? «Ho iniziato a lavorare F i l gennaio del 1960. E i carrelli elevatori nelle fonderie erano pieni d`amianto, in modo che le scintille non creassero incendi. L`amianto era dappertutto». Sapevate che faceva male? «Io non l`ho mai capito fino a quando sono venuto a Brescia, dopo la pensione, nell`88. Moltissimi colleghi più giovani di me erano già morti. Ma per quanto mi riguarda, è stato solo nel 1999, quando sono andato da uno pneumologo per quella che ritenevo solo una brutta influenza. In ospedale hanno fatto le ricerche e hanno trovato l`amianto. Poi ho letto un`enciclopedia medica. E ho scoperto cos`è l`asbestosi, ho letto che la malattia può arrivare dopo trenta o quarant`anni. Per fortuna ho un fisico molto forte. Altrimenti sarei già morto». È stato risarcito? «Macché. Dall`Inail non ho preso nulla, nonostante tutta la documentazione medica della Clinica del lavoro di Brescia. Mi hanno mandato una lettera per spiegarmi che in base a una legge del 2002 non avrei più diritto a niente: mi ha disgustato. Ho un fratello avvocato, si è offerto di assistermi. Gli ho detto "Stai quieto: non ho più le forze"». Ora però la procura si sta interessando anche al suo caso. «Ringrazio, ma so già che non avrò mai niente. Non sarà mai riconosciuto il diritto di una persona che ha contribuito un po` al benessere di questa nazione». Secondo lei qualcuno è responsabile per quello che le è successo? Ha senso cercare le responsabilità nel tempo? «Io non ho presentato nessuna denuncia. È l`Asl che mi ha chiamato, più volte. Ma io mi sono rassegnato a vivere nel modo in cui vivo». Come vive? «Con una bombola in casa e un`altra, più piccola, da portare a spasso. Da quattro anni è così. Faccia conto di andare in giro come un ammalato in fin i vita, con la gente che ti guarda come un appestato, un moribondo. Le garantisco che non è simpatico». Qualcuno dovrebbe risponderne. «Tutti, dovrebbero. Quelli che sapevano. I politici. Agnelli, che riposi in pace. Magari anche il sindacato, ma ai vertici. Non noi piccoli - io ero nella Cisl- che lavoravamo e basta. E dire che quando l`Inail ci disse che ci avrebbero dato 65mila lire al mese come pensione per i problemi di acustica io neanche mi presentai alla visita. Ci sentivo bene e non volevo speculare. E andavo a lavorare anche con la febbre». Lo rifarebbe? «Se la pensassi come oggi, avrei fatto il bandito. Invece ho voluto vivere onestamente. Se queste cose le avessimo sapute nel `68, avremmo ribaltato tutto. E grazie a quelle lotte che adesso i giovani stanno bene. Ma ora siamo ridotti così. Fa piacere però che qualcuno si ricorda ancora che esistiamo». I carrelli ne erano pieni, era dappertutto, non ho mai capito che faceva male, me l`ha svelato uno pneumologo quando sono andato in pensione.
di:”DAVIDE CARLUCCI”
"La Repubblica" - Edizione Milano del 25-11-2010
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