8 marzo in quel di settembre
Non è successo l’8 marzo ma il 12 settembre. Non a Chicago ma a Karachi, Pakistan.
I morti sono, per il momento, 289 operai bruciati vivi, che lavoravano in una fabbrica tessile, la Ali Enterprise. La fabbrica, un edificio di 4 piani nel quartiere di Baldia Town, occupava circa 2.000 lavoratori; gli operai lavoravano in vasti scantinati con le finestre chiuse da sbarre e come unica via d’uscita una piccola porta che si è bloccata subito. Il grande generatore elettrico che ha dato il via all’incendio si trovava all’entrata principale. Sono riusciti a salvarsi quelli che si sono buttati dalle finestre, scardinando le sbarre o gettandosi dai piani superiori. Molti di questi hanno avuto le gambe rotte.
Facevano magliette e prodotti tessili che noi compriamo, anche se l’etichetta recita “made in … qualsiasi paese” tranne quello in cui sono prodotti.
Pagati pochi centesimi e ora morti bruciati perché, come dice uno dei sopravvissuti, “i proprietari erano più preoccupati di proteggere i loro tessuti che i loro lavoratori”.
Nella città di Lahore, per lo scoppio di un generatore, sono morti – sempre oggi – altri 25 operai. Fabbricavano scarpe.
I loro nomi non li sapremo mai, ma sappiamo che tra loro c’erano anche molti bambini.
E’ sempre più difficile - perché sono tanti, troppi - ricordarsi dei morti sul lavoro. Domani un’altra tragedia ci distrarrà. Ma quella di oggi, in tempo di crisi, ci dice alcune cose, oltre a riempirci di rabbia e di dolore per l’ennesima volta.
Di questi tempi va di moda scagliarsi contro la finanza e i “mercati”, anche da parte di chi questi “mercati” e il sistema capitalistico di cui fanno parte li ha sempre sostenuti come l’unico mondo possibile (vedi Bersani che – domani, un domani che non arriva mai - non vuole “il governo delle banche”… ma intanto lo sostiene a spada tratta), ma OGGI l’economia “reale”, quella dello sfruttamento diretto di quella merce umana che si chiama forza-lavoro, si è presa la sua sanguinosa rivincita.
Ci sono tanti modi per ammazzare i popoli. Direttamente con la guerra, come in Afganistan, in Iraq, in Libia (e, prossimamente, in Siria); con lo strangolamento economico, come in Grecia…. e ogni giorno nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro di tutto il mondo, dove il profitto conta più della vita umana.
L’importante è produrre, ci dicono, aumentare la produttività: così usciremo dalla crisi.
Il Pakistan attraversa una crisi energetica con continui tagli dell’energia elettrica e i padroni delle fabbriche usano sempre più generatori a gasolio perché la produzione non si interrompa, anche se questo aumenta a dismisura i rischi per i lavoratori, che lavorano in condizioni sub-umane. L’estrazione del plusvalore non può fermarsi.
Il rogo di Chicago avvenne nel 1908: sono passati più 100 anni e, nella sostanza e ormai anche nelle forme, la barbarie del capitalismo non è cambiata.
Oggi, con la morte nel cuore, non possiamo dire altro che “pietà l’è morta” e che dobbiamo abbattere questo sistema.
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni
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Revolutionary spap 112 (domenica, 16 settembre 2012 00:10)
Leggiamo con gioia questo vostro volantino, che pone al centro la questione dello sfruttamento non solo in Italia, ma in tutto il globo. Condividiamo tutto, anche il richiamo alle aggressioni imperialiste in Afganistan, in Iraq, in Libia e in Siria.
Resistere nel mantenere il filo rosso della dottrina del marxismo rivoluzionario e nel contempo profondere grandi sforzi sia individuali che collettivi nel promuovere un organizzazione internazionale.
Per noi riconoscere il lavoro dei compagni e di prioritaria importanza, collaborare senza se e senza ma con tutti i compagni e, purtroppo per ora, le piccole organizzazioni divise e in competizione fra loro, che nonostante tutto riescono a mantenere una posizione dignitosa di classe.
Per ora buon lavoro! seguiremo con attenzione i vostri lavori.