ACCORDO ILVA: PADRONE E SINDACATI CONFEDERALI, INSIEME ALLA USB, FIRMANO LA “PACE SOCIALE”.
PER I PADRONI IL PROFITTO E’ GARANTITO, IL POSTO DI LAVORO NO, LA SALUTE NEANCHE.
Michele Michelino
I sindacati confederali – FIOM/CGIL-FIM/CISL-UILM/UIL, a cui si è aggiunta USB- si sono dichiarati soddisfatti per l’accordo firmato con Am Investco, la cordata guidata da Arcelor Mittal.
Anche il viceministro Di Maio, artefice dell’accordo, ha dichiarato che “sull'Ilva è stato raggiunto il miglior risultato possibile nelle peggiori condizioni possibili”, una frase che si sente ripetere spesso, ogni volta che i sindacalisti firmano accordi antioperai.
Tuttavia gli stessi sindacati firmatari dell’accordo hanno ammesso che “si tratta comunque di circa 3.000 esuberi con una clausola di salvaguardia (sic!) che prevede che dal 2023 i lavoratori in esubero possano essere riassorbiti se nel frattempo non hanno usato gli ammortizzatori”. In teoria, come prevede l’accordo, chi accetta il licenziamento senza chiedere nemmeno un euro di FIS (ex cassa integrazione), fra 5 anni può forse cominciare a sperare che lo riassumano: un sogno destinato a rimanere tale.
Anche sull’ambiente il risultato è pessimo. Come ha dichiarato il presidente del Consiglio Conte “Se Ilva vuole produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio lo deve fare senza aumentare di nulla le emissioni che ci sono”, dimenticando che già in queste condizioni gli infortuni e i morti sul lavoro sono all’ordine del giorno.
Non c’è che dire, una bella difesa dell’ambiente in questo stabilimento dove gli infortuni e i morti sul lavoro avvengono giornalmente, non solo fra gli operai costretti a lavorare senza sicurezza, ma anche tra i loro famigliari e la popolazione. Secondo l’accordo si può continuare a morire, basta “non aumentare le emissioni” di sostanze cancerogene.
Intanto i padroni possono continuare a fare il massimo profitto non solo risparmiando sulla sicurezza, ma anche con garanzia d’impunità: l’accordo prevede, infatti “immunità penale che si mantiene – sia per i commissari che per i nuovi proprietari”, il che vuol dire che non ci sarà alcun colpevole per malattia e morte e che padroni e manager potranno continuare indisturbati a uccidere lavoratori e cittadini del territorio.
Con quest’accordo, i lavoratori rinunceranno sia nei confronti della nuova società che dell’ILVA, all’art. 2087 Cod. Civ.: «cioè a qualsiasi causa che potrebbe instaurarsi per malattie o danni derivanti da mancanza di misure necessarie per tutelare l’integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare», e all’art. 2116 Cod. Civ. «che riguarda l’eventuale mancato versamento dei contributi previdenziali». Tali rinunce «valgono anche per chi accetta l’incentivo al licenziamento (da 15.000 euro a 100.000 euro lordi, in base ai tempi entro cui deciderà di uscire» e per chi «rimarrà parcheggiato in Cassa Integrazione per 7 anni, con salario ridotto, sperando che entro agosto 2025 gli arrivi la proposta di assunzione».
I lavoratori chiedevano ai “loro rappresentanti” dei sindacati confederali e ai sindacati di base, che tutti gli operai fossero assunti dall’Arcelor Mittal.
Il risultato di quest’accordo prevede che a Taranto saranno solo 8.200 gli operai assunti da ArcelorMittal. Tutti gli altri, circa 2.800, restano nel calderone dell’Amministrazione Straordinaria, per essere usati in non ben chiari lavori di bonifica o in attività assistenziali e sociali, in corsi di formazione, con l’unica vera garanzia della Cigs, e una garanzia generica di rientro fino ad ottobre 2025 in Arcelor Mittal.
L’accordo prevede inoltre che la Mittal procederà alle assunzioni ex novo, previo periodo di distacco di 3 mesi, salvaguardando sì livelli, salari acquisiti e diritti (art.18), ma questa garanzia non varrà per gli assunti post legge Jobs act. Nulla è invece previsto per gli operai degli appalti.
In sostanza un accordo, sbandierato come difesa dell’occupazione, che non garantisce alcun posto di lavoro tutelato, che diminuisce drasticamente i lavoratori oggi dipendenti Ilva, che non tutela né la salute dei lavoratori né quella degli abitanti di Taranto.
La realtà è che l’accordo sostenuto dal “governo del cambiamento”, di Di Maio, Salvini, Fim, Fiom, Uilm e Usb peggiora le condizioni dei lavoratori. La sicurezza e la salute non sono tutelate. Le sostanze inquinanti e cancerogene continueranno a minare la salute dei lavoratori e di tutti gli abitanti della città, non solo quelli di Taranto, perché l’azienda è libera di continuare a inquinare. Completamente assente un piano di bonifica della fabbrica dalle sostanze cancerogene e inquinanti, fra cui l’enorme quantità di amianto ancora presente nel sito Ilva di Taranto e, cosa ancora più grave, resta nell’accordo l’immunità penale: nessun colpevole per le malattie e le morti che potranno continuare a colpire lavoratori e cittadini del territorio.
E ancora, i lavoratori assunti da ArcelorMittal dovranno procedere alle ‘dimissioni consensuali con Ilva, accettare un nuovo rapporto di lavoro, rinunciare al diritto di continuità lavorativa, accettare tutte le condizioni di Am InvestCo (luogo di lavoro, anche in altre sedi del gruppo; livello e inquadramento del CCNL sulla base del contratto applicato da Mittal o dalle altre società del gruppo).
Tutte le rinunce varranno anche per chi rimarrà parcheggiato in cassa integrazione per 7 anni, con salario ridotto, sperando che entro agosto 2025 gli arrivi la proposta di assunzione.
E’ un accordo sul modello tedesco di cogestione in cui l’azienda coinvolge il sindacato nel fare scelte strategiche, impegnandosi a informare le rappresentanze sindacali dei piani aziendali e coinvolgendole attraverso un loro parere non vincolante. Cioè è un modo per ridurre ulteriormente l’antagonismo dei lavoratori e il conflitto coinvolgendoli nella gestione e nelle scelte strategiche per meglio rispondere alle necessità della politica aziendale.
Tuttavia non possiamo dimenticare che l’accordo sottoscritto dal “governo del cambiamento” arriva dopo i 12 decreti SALVA ILVA di cui il governo a guida PD si era fatto garante.
La popolazione della città da anni protesta – insieme a molti operai, contro l’inquinamento provocato dalla fabbrica, coscienti che non si difende il salario difendendo il posto di lavoro così com’è, con i suoi veleni per tutti e i profitti per il solo padrone di turno, che in cambio da loro un misero salario.
Barattare la salute con il salario e l’occupazione può essere nell’immediato per alcuni una soluzione temporanea, che pagheranno in futuro a caro prezzo, anche con la vita.
L’esperienza ci insegna che la monetizzazione della salute, della vita umana, del posto di lavoro senza sicurezza va a vantaggio solo dei padroni. LA SALUTE NON SI PAGA, LA NOCIVITA’ SI ELIMINA E LA SICUREZZA DEVE ESSERE GARANTITA, anche se quest’obiettivo si scontra con il mercato, con la logica del profitto che sono i fondamenti della società capitalista.
La mancanza di sicurezza sul lavoro, la nocività, l’inquinamento, le sostanze cancerogene, uccidono prima gli operai che sono a diretto contatto in fabbrica, ma uscendo nel territorio, disperdendosi nell’aria, nelle falde acquifere avvelenano anche i loro famigliari e tutta la popolazione. Tutto questo è inaccettabile. Non si può morire per il profitto nella speranza di mantenere il posto di lavoro.
Abbiamo visto innumerevoli volte molte aziende italiane vendute a gruppi multinazionali finire male. Aziende che dopo averle spremuto bene gli operai le hanno chiuse, o de localizzate.
La multinazionale ArcelorMittal controllata dalla famiglia indiana Mittal è uno dei più grossi produttori di acciaio al mondo, con fabbriche in tutto il mondo. In Europa le acciaierie ArcelorMittal sono a Belval e Differdange in Lussemburgo, Dabrowa in Polonia, Messempré in Francia, e Dintelmond nei Paesi Bassi. Come hanno fatto molte multinazionali, non ultimo la FCA di Agnelli e Marchionne, anche il gruppo indiano dell’acciaio di livello mondiale sta rilevando acciaierie ovunque per far fuori la concorrenza e poi chiuderle spostando la produzione in India o in paesi dove può sfruttare e inquinare liberamente. Nel frattempo grazie alla complicità di governo e sindacati ArcelorMittal è libera di farlo in Italia.
Scheda:
I RISULTATI DEL REFERENDUM.
I dipendenti dei vari stabilimenti hanno dato l'ok all'accordo con Arcelor Mittal. Numeri plebiscitari a Taranto con il 94% dei favorevoli. A Cornigliano (Genova) "Sì" al 90% così come a Novi Ligure dove i favorevoli sono stati l'89,4%.
Lo comunicano fonti sindacali. Dei 1.474 aventi diritto, hanno votato in 1123. I voti favorevoli sono stati 1012 (90,1%), i contrari 99 (8,8%), le schede nulle 12. Via libera anche dei lavoratori dello stabilimento di Novi Ligure. Nello stabilimento più innovativo del gruppo, dei 730 aventi diritto, hanno votato in 510. Fonti sindacali hanno confermato che i voti favorevoli sono stati 456 (89,4%), i contrari 52 (10,2%), le schede nulle 2.
Con una percentuale plebiscitaria di "Si'" al 94% i lavoratori dello stabilimento di Taranto hanno dato parere favorevole all'accordo con Arcelor Mittal. Fonti sindacali hanno spiegato che i votanti sono stati 6.866, favorevoli 6.452, contrari 392, astenuti 12. Affluenza bassa. Avevano diritto a votare 10.820 lavoratori.