Unità contro il capitalismo
ArcelorMittal, ex ILVA: l’unità di lotta degli operai e degli abitanti di Taranto è la strada per difendere
occupazione, salario, salute e ambiente
Nel mese di novembre 2019 la multinazionale ArcelorMittal ha annunciato esuberi, tagli degli organici con fermate degli altiforni e del treno nastri dell’ex Ilva di Taranto.
ArcelorMittal, nella ricerca del massimo profitto, in questi giorni con la presentazione del piano di ristrutturazione, ha annunciato 4.700 nuovi esuberi, 2.800 dal 2020 e gli altri negli anni
successivi. Con i 500 operai espulsi dalla fabbrica lo scorso anno, sono circa 6mila e 500 gli “esuberi”.
I sindacati collaborazionisti, che finora hanno concordato con il padrone e il governo i licenziamenti mascherati e le dimissioni incentivate, anteponendo il profitto del padrone alla salute e alla vita umana dei lavoratori e della popolazione di Taranto, davanti a quest’altro attacco all’occupazione hanno chiamato i lavoratori in produzione allo sciopero per difendere il posto di lavoro e la fabbrica, che continua ad avvelenare e inquinare.
Lo scontro fra gli stessi operai, guidato dai sindacati confederali e anche di alcuni di quelli di base che
difendono il posto di lavoro così com’è senza sicurezza, inquinato che avvelena prima loro e poi le loro famiglie e abitanti di Taranto, serve solo al padrone.
I sacrifici di ieri - che l’azienda, con la complicità del governo e sindacati collaborazionisti, filo padronale Cgil-Cisl-Uil-Ugl e Usb, ha imposto agli operai con i primi esuberi e lo scudo
penale concesso al padrone (in pratica l’impunità, la licenza di uccidere e avvelenare i lavoratori e la popolazione) - hanno preparato quelli ancora più pesanti di oggi.
Gli operai sono le prime vittime dello sfruttamento e dell’inquinamento. Le sostanze nocive e inquinanti prima
avvelenano e uccidono gli operai poi, dopo averli avvelenati, escono dalla fabbrica, si disperdono nel territorio attraverso le falde acquifere, l’aria, la pioggia avvelenando la
popolazione.
Chiudere le fonti inquinanti, risanare gli ambienti nocivi della fabbrica bonificandola è interesse comune dei lavoratori e della stragrande maggioranza dei cittadini di Taranto. Solo un pugno di
sfruttatori o parassiti che vivono delle briciole e dei privilegi che il padrone della fabbrica gli concede possono difendere la fabbrica così com’è.
Per anni le organizzazioni sindacali hanno barattato (e continuano a farlo) salario e occupazione, monetizzando
la salute e la vita umana degli operai invece di lottare per chiudere le fonti inquinanti.
L’esperienza ci ha insegnato che la salute del lavoratore non può essere tutelata solo attraverso l'adozione di strumenti protettivi (aspiratori, maschere, tute ecc.) capaci di preservarci dalle
nocività così come s'intende normalmente (calore, rumore, polveri ecc.). Nel sistema capitalista tutta l'organizzazione del lavoro nella fabbrica dove si produce per il profitto è nociva.
Cottimo, ritmi, orario di lavoro, organici, qualifiche, dislocazione e tipo del macchinario, rumore, calore, polveri, sono funzionali allo sfruttamento del lavoratore. Lo sfruttamento non si
evidenzia solo nella pericolosità degli ambienti lavorativi che producono morti sul lavoro e nel territorio, si evidenzia anche da un salario insufficiente alle necessità della vita. Lo
sfruttamento è anche il prolungamento della giornata lavorativa sui mezzi di trasporto insufficienti, una casa inadeguata e comoda, il sistema sanitario e quello tributario iniqui.
I lavoratori e i cittadini devono unitariamente rivendicare un’efficiente medicina preventiva, che ricerchi scientificamente il rapporto di casualità tra malattie tipiche della società
industriale (disturbi cardiaci, reumatismi, bronchiti, tumori, aborti ecc.) e ambiente di lavoro, e che intervenga al fine di rimuovere le cause delle malattie.
In Italia gli anni tra il 1965 e il 1970 hanno visto gli operai protagonisti di dure lotte che mettevano in discussione - tra le altre cose - anche gli ambienti di lavoro insalubri e ponevano con
forza la necessità e l'urgenza di sottrarre il lavoratore al lento massacro cui era sottoposto. In quegli anni scioperi, fermate improvvise e spontanee di operai e di gruppi di lavoratori
costretti a lavorare in ambienti angusti e nocivi, nelle fonderie, nelle forge e in ambienti a caldo, nei cantieri e nelle campagne, soprattutto nei mesi estivi quando la temperatura sul posto di
lavoro diventava intollerabile, erano la prima forma di difesa e di ribellione. Nelle piattaforme - insieme al salario - si rivendicavano obiettivi che riguardavano l'organizzazione e l'ambiente
di lavoro rivendicando la salute e la chiusura dei siti fino a bonifica fatta.
È necessario che gli operai, liberandosi della direzione dei bonzi sindacali che hanno tutto l’interesse a garantire il profitto, prendano nelle proprie mani il problema della salute insieme ai
comitati cittadini, rivendicando con forza la chiusura dei siti inquinanti e l’utilizzo dei lavoratori di questi siti per la bonifica a salario pieno. Le bonifiche sono l’obiettivo unificante per
gli operai e i cittadini e questo vale sia che il padrone si chiami ArcelorMittal o Stato.
Una fabbrica nazionalizzata avrebbe lo stesso problema del privato, il mercato dell’acciaio in crisi imporrebbe nuovi piani industriali, esuberi e peggioramento delle condizioni normative e
salariali.
Chi s’illude che con la nazionalizzazione la situazione degli operai migliorerebbe rimarrà in breve tempo deluso. Lo Stato rappresenta gli interessi collettivi della classe dominante capitalista
al potere e tutti i governi, di qualsiasi colore, difendono sempre gli interessi del capitale.
Michele Michelino, dal giornale “nuova unità” dicembre 2019