LA RABBIA OPERAIA CONTRO L’INGIUSTIZIA PER I MORTI D’AMIANTO ALLA BREDA.
PILLOLE DI STORIA OPERAIA RACCONTATA DAI GIORNALI DEL 2003. OGGI LA LOTTA
CONTINUA E IL 4 FEBBRAIO 2020 CI SARA’ L’ENNESIMO PROCESSO D’APPELLO .
L’assoluzione dei dirigenti, ma ancor più l’immediata rabbiosa protesta dei compagni di lavoro e dei famigliari
delle vittime organizzate dal Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio vengono riprese su tutti gli organi di stampa e Tv nazionali.
Il 14 febbraio 2003 escono gli articoli di Manuela Cartosio sul Manifesto, di Ferdinando Baron sul Corriere della Sera e di Giuseppe Caruso sull’Unità.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO SUI SEI OPERAI DELLA BREDA FUCINE UCCISI DAL TUMORE. PER I GIUDICI NON ESISTE UN NESSO CAUSALE E QUINDI «IL FATTO NON SUSSISTE». Breda, gli operai morti per caso Lacrime, urla, proteste dei parenti: «li hanno uccisi di nuovo» L'assoluzione se l'aspettavano. Non è stata uno choc come al processo per Porto Marghera. L'aveva chiesta, e per ben due volte, lo stesso pubblico ministero Giulio Benedetti, convinto che non ci sia la prova del rapporto di causa e effetto tra l'amianto e la morte per tumore di sei ex operai della Breda Fucine di Sesto San Giovanni (fabbrica chiusa da tempo). Parenti, ex colleghi pensionati e Comitato per la difesa della salute se l'aspettavano a tal punto l'assoluzione che avevano già pronti striscioni e comunicati per gridare la loro rabbia contro una sentenza che «afferma che uccidere i lavoratori in nome del profitto non è reato». Ma quando il giudice Elena Bernante ha terminato la lettura del dispositivo della sentenza, che manda assolti due ex dirigenti della Breda Fucine di Sesto perché «il fatto non sussiste», la protesta nella piccola aula 7 del tribunale di Milano è stata più intensa di quella che nell'aula bunker di Mestre aveva mescolato lacrime, sbigottimento, incredulità e rabbia per l'assoluzione del Gotha della chimica. Hanno gridato «Vergogna», «Assassini», «Bastardi». Hanno invaso l'emiciclo dell'aula per stendere sotto la scritta «La legge è uguale per tutti» uno striscione che recita «Operai della Breda uccisi due volte: dall'amianto e dai giudici». Hanno occupato l'aula e solo dopo un'ora polizia e carabinieri sono riusciti a convincerli a uscire. Nei corridoi e fuori dal palazzo di giustizia hanno continuato a manifestare il loro sdegno. Alle 14,30, quando tutto era finito, Giuseppe Mastrandrea, 69 anni, il pigiama dentro una borsa di carta, ha preso la strada per l'Istituto dei tumori dove gli diranno se possono «aprirlo un'altra volta». Oltre ai familiari dei sei colleghi deceduti, Mastrandrea era una delle parti lese di questo processo. La sentenza dice che non c'è la prova che il suo tumore sia stato causato dalle fibre di amianto che ha respirato lavorando per anni nel reparto «verniciatura aste» della Breda Fucine. «Si respirava in gran quantità polvere di molatura. Lo dicevamo ai capi, loro ci rispondevano che le cose andavano così e ci davano mezzo litro di latte come antidoto», racconta il pensionato. «Ora i capi sono stati assolti come se non fosse successo nulla. Pensavo ci fosse un po' di giustizia, ma quella ormai è riservata solo ai padroni». Una giustizia riservata a chi «ha i soldi», quindi «di classe», commenta Michele Michelino, ex operaio della Breda animatore del Comitato che ha raccolto dati sul killer amianto; in 11 anni di attività e di lotte il Comitato ha presentato 19 denunce e elencato 70 morti. Denunce archiviate, eccetto quella giunta ieri a sentenza e un'altra per cui il processo inizierà a settembre. Il tribunale di Milano, osserva Michelino, come quello di Venezia «si è schierato a fianco dei padroni». Per le morti operaie non paga mai nessuno, commenta Piergiorgio Tiboni, coordinatore nazionale della Cub, «al danno si aggiunge la beffa». I due imputati, Vito Schirone e Umberto Marino, erano accusati di omicidio e lesioni colpose. Per loro il pm aveva chiesto una prima volta l'assoluzione perché in base alle perizie non poteva essere provato il rapporto di causa-effetto tra amianto e quei sette casi di tumore. Il tribunale aveva riaperto il dibattimento per acquisire dati emersi da un convegno scientifico sull'amianto tenutosi ad Helsinki. Dati che non hanno modificato la convinzione del pm che ha concluso anche la seconda requisitoria con la richiesta d'assoluzione. Per Sandro Clementi, avvocato di parte civile, la formula «il fatto non sussiste» è particolarmente «inquietante», non tiene conto della verità accertata che l'amianto alla Breda c'era. Almeno due dei sette tumori, insiste, sono «sicuramente stati causati dall'amianto». L'unica possibilità per rimettere in discussione l'assoluzione di ieri è un'eventuale condanna di un folto gruppo di ex dirigenti Breda nel processo che inizierà a settembre. Manuela Cartosio Milano, 14 febbraio 2003 da "Il Manifesto" ........................................................................continua la lettura
MORTI DELLA BREDA, ASSOLTI DUE EX DIRIGENTI. SECONDO I GIUDICI NON È POSSIBILE STABILIRE UN COLLEGAMENTO TRA I
DECESSI E L' AMIANTO. URLA ALLA LETTURA DELLA SENTENZA MILANO - Assolti. Quando il giudice Elena Bernante, ieri a mezzogiorno, ha letto la sentenza, nell' aula è scoppiato un putiferio, con
insulti e urla del pubblico. È finito così il processo a due ex dirigenti della Breda, Vito Schirone e Umberto Marino, rinviati a giudizio per la morte di sei operai, addebitata all' amianto.
Secondo i magistrati del Tribunale di Milano, non è possibile stabilire una relazione tra la malattia e le condizioni di lavoro nell' ex fabbrica siderurgica al confine tra Sesto e Milano. «Sono
stati vanificati 11 anni di lotte - ha commentato Michele Michelino, presidente del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, parte civile nel processo -. Non
sono bastati 70 decessi tra gli ex lavoratori per convincere i giudici della presenza di amianto alla Breda». Il procedimento era partito nel 2001, in seguito alle 19 denunce presentate dal
comitato, nel 1996, al Tribunale di Milano. Quindici le udienze, con due requisitorie del pm. Al termine della prima, di carattere assolutorio, il giudice non aveva emesso la sentenza, ma
riaperto l'istruttoria dibattimentale per acquisire gli atti di un convegno di Helsinki (Finlandia) sulle conseguenze dell' amianto sull' uomo. Ma anche ieri, il pm Giulio Benedetti, accogliendo
la tesi degli avvocati della difesa Michele Bontempi, Salvatore Armerini e Davide Steccanella (quest'ultimo legale della Breda, imputata come responsabile civile), ha chiesto l' assoluzione dei
due dirigenti. Che è arrivata poco prima delle 13, scatenando le proteste delle famiglie delle vittime e degli ex operai presenti in aula. «La nostra lotta non finisce qui - ha aggiunto Michelino
- tra poco si aprirà un altro procedimento e bisognerà affrontare anche il problema del mancato riconoscimento dei contributi pensionistici per i lavoratori esposti all' amianto». Il 19
settembre, infatti, comincerà, sempre a Milano, un secondo processo a 14 dirigenti e amministratori della Breda, per la morte di un altro operaio, nel 1995. Il 21 febbraio, invece, ex operai
delle grandi fabbriche di Sesto si troveranno davanti alla sede dell'Inail per protestare contro la mancata attuazione della legge 257 del 1992, che riconosce benefici pensionistici a chi ha
lavorato a contatto con l' amianto per almeno dieci anni.
Ferdinando Baron, Corriere della Sera
L'AMIANTO UCCIDE GLI OPERAI: IL FATTO NON SUSSISTE. AL PROCESSO DI MILANO ASSOLTI I DIRIGENTI DELLA BREDA. LA
PROTESTA DI LAVORATORI E FAMIGLIE di Giuseppe Caruso “Vergogna, li avete uccisi un'altra volta», «Sono morti per un tozzo di pane», «Assassini, bastardi». Queste sono state le prime reazioni
degli operai della Breda e dei familiari delle vittime alla lettura della sentenza di assoluzione per i due dirigenti Vito Schirone ed Umberto Marino, accusati di omicidio colposo per la morte di
sei lavoratori e le lesioni gravissime di un settimo. Assolti perché il fatto non sussiste, come ha deciso il giudice Elena Bernante. La situazione è subito degenerata, con gli ex compagni di
lavoro delle vittime che hanno invaso l'emiciclo, mentre Digos e carabinieri provavano a farli indietreggiare. Gli operai, lutto al braccio e spilla bianca al petto (in ricordo dell’amianto),
portavano con sé due striscioni e riuscivano, sotto la scritta «La legge è uguale per tutti», ad esporne uno che recitava: «Operai Breda uccisi due volte: dai padroni e dai giudici». L'altro
striscione veniva srotolato pochi metri dietro, sempre dentro l'aula, e diceva: «Breda Fucine, 60 morti per amianto, decine di malati, ma la magistratura assolve i padroni». Intanto alcuni di
loro alzavano i maglioni e le camicie, per far vedere le cicatrici, i segni indelebili che i tumori, i tumori da amianto, gli hanno lasciato addosso. E loro sono fortunati, perché possono essere
ancora lì a mostrarle. Si è concluso così, nel modo più difficile da accettare, il processo che doveva fare giustizia per le troppi morti da cancro alla Breda. Il dibattimento, durato quattordici
mesi circa, invece è servito «soltanto» a mettere a nudo la totale mancanza di sicurezza in cui operavano i lavoratori della Breda Fucine di Sesto San Giovanni. Costretti a lavorare a stretto
contatto con l'amianto, minacciati di licenziamento quando si lamentavano per le loro condizioni, la proprietà non forniva loro nemmeno le mascherine per non ingerire le polveri di amianto ed i
guanti per non toccare il materiale altamente cancerogeno. La Breda però, beffa finale, dava agli operai esposti al pericolo un bicchiere di latte, spiegando che «contro l'amianto basta questo».
Ad arrivare a questa sentenza ha contribuito in modo decisivo l'atteggiamento del pm Giulio Benedetti, che dall'inizio delle udienze è parso più interessato a dimostrare la mancanza di nesso tra
l'amianto ed i tumori, che a provare le responsabilità dei due dirigenti processati. La sua richiesta di assoluzione aveva già fatto capire come si sarebbe concluso il dibattimento. I tempi si
sono allungati perché il giudice Bernante ha chiesto un supplemento di perizie, ma la fine del processo, quel «liberi tutti» che tanto si temeva, è arrivato lo stesso. Così agli operai della ex
Breda, ai familiari delle vittime ed all'avvocato di parte civile Sandro Clementi non resta altro che la rabbia. «Una sentenza infame» commenta proprio Clementi alla fine «che non tiene conto
della verità storica dei fatti. Non si può sostenere che i vertici della Breda non sapessero della pericolosità dell'amianto, come dimostrato da rapporti, agli atti processuali, di ispettori
della medicina del lavoro che risalgano addirittura al lontano 1975». Giuseppe Mastrandrea, ex operaio del reparto aste della Breda Fucine (i sei morti lavoravano lì), ha la voce rotta dal
pianto:«Non c'è legge, è la legge dei padroni. Li hanno assolti come se non avessero fatto niente. Io sono stato tagliato tutto ed adesso sto andando di nuovo all'ospedale: questa mattina mi
ricoverano per un'altra operazione». Michele Michelino, anche lui ex operaio Breda, membro del Comitato per la salute nei luoghi di lavoro, sprizza rabbia da tutti i pori: «E' una sentenza
politica, che il giudice aveva in mente già dall'inizio e che il pm ha favorito in ogni modo». L'Ulivo intanto rilancia la sua proposta di modifica sulla normativa previdenziale per i lavoratori
esposti all'amianto, perché siano di più i soggetti che possano beneficiare delle indennità. Attualmente infatti bisogna aver passato a contatto con l'amianto turni di otto ore al giorno per
almeno dieci anni per avere diritto ad un riconoscimento.
14 Febbraio 2003 pubblicato nell'edizione nazionale (pagina 12) nella sezione "Interni"
Dal libro AMIANTO: MORTI DI "PROGRESSO" reperibile gratuitamente cliccando sul sito qui sotto.
https://www.resistenze.org/sito/ma/di/sc/mdscjd18-021455.htm