CORONAVIRUS E CRISI ECONOMICA
Non passa giorno senza che ci sentiamo ripetere dalla Confindustria, dal governo Conte e dai suoi rappresentanti politico-istituzionali – a cominciare dal capo dello stato - che serve “l’unità nazionale”, la “coesione sociale”, nella “guerra” contro la pandemia, cioè che “siamo tutti sulla stessa barca” e quindi bisogna fare sacrifici, rinunciare alle libertà costituzionali, insomma tirare ancora di più la cinghia per far uscire il paese dalla crisi.
Secondo questi signori la crisi non sarebbe colpa del sistema capitalista, dei padroni, dei borghesi che si sono appropriati della ricchezza prodotta dai proletari costringendo i lavoratori e gli operai a lavorare, spesso per una paga da fame, senza adeguate misure di protezione individuali né collettive, ma del coronavirus.
Un’epidemia che se si fossero attuati i piani contro la pandemia previsti da tutti i protocolli avrebbe risparmiato tante vite umane.
Con i dovuti distinguo questa tesi è sostenuta da entrambi gli schieramenti politici di maggioranza e opposizione.
Anche in piena crisi sanitaria per tutti gli schieramenti politici, la centralità e la sacralità del profitto sono l’obiettivo principale. In nome “della coesione e unità nazionale” i sindacati confederali, ma anche alcuni sindacati di base accettano di sottomettere i diritti e gli interessi dei lavoratori all’impresa, all’economia “nazionale” pur di partecipare ai tavoli governativi insieme ai padroni.
Anche durante il coronavirus i ricchi sono diventati più ricchi a scapito dei poveri.
L'emergenza coronavirus ha aumentato le diseguaglianze economiche e sociali in Italia: i ricchi sono diventati ancora più ricchi e i
poveri si sono impoveriti ancora di più con la crisi. Nel 2020
come rileva il 54° rapporto annuale del Censis,
sono 1.496.000 (il 3% del totale)
le persone che hanno una ricchezza che supera il
milione di dollari (circa 840.000 euro).
Di questi, 40 sono miliardari e sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la
prima ondata dell’epidemia.
Sempre secondo il Censis, da marzo a settembre 2020, sono ben 582.485 in più, rispetto all’anno precedente,
le famiglie che sopravvivono grazie a un sussidio
di cittadinanza.
In questi anni i governi e le regioni hanno distrutto la sanità pubblica chiudendo servizi trasformando le ASL e gli ospedali in aziende, dirottando le cure più remunerative verso la sanità privata. Per contenere il debito pubblico, lo stato ha tagliato i fondi nella sanità pubblica che negli ultimi 10 anni ha subito un taglio di oltre 37 miliardi di euro, mentre è aumentata la spesa militare. Lo stesso processo è avvenuto con la scuola.
Nel 2020, in pieno covid mentre mancavano gli ospedali e i soldi per attrezzare le terapie intensive, la spesa militare italiana è aumentata di oltre il 6% rispetto al 2019, superando i 26 miliardi, equivalenti a una media di 72 milioni di euro il giorno.
Anche durante la pandemia le fabbriche hanno continuato a produrre a ritmo serrato costringendo spesso gli operai a lavorare senza dispositivi di protezione individuali e collettivi, com’è successo anche negli ospedali e a viaggiare su trasporti privati e mezzi pubblici stipati come sardine. Questo ha comportato un gran numero d’infortuni, morti sul lavoro e malattie professionali di cui circa 300 nella sanità.
L’aumento dei profitti che alcune aziende hanno fatto sfruttando la pandemia è frutto dell’intensificazione dello sfruttamento, del peggioramento, delle condizioni di vita e lavoro degli operai, dei proletari, in particolare le donne e i giovani, unificando e parificando sempre più nella miseria i lavoratori italiani e immigrati.
In realtà, chi finora ha vissuto e continua “a vivere sopra i propri mezzi” indebitando l’Italia sono i borghesi, che hanno aumentato il “debito pubblico”, venduto il paese alle multinazionali, contratto debiti col Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale ed Europea e che oggi e nel futuro vogliono far pagare i loro debiti ai lavoratori e pensionati.
Se in Italia e nei paesi capitalisti il sistema impedisce il benessere minimo e una vita decente alla classe operaia e agli strati medio - bassi della popolazione, va ribaltato, non possiamo accettare che la loro ricchezza aumenti a dismisura sulla nostra miseria.
Bisogna cominciare a scendere compatti e numerosi in piazza per far valere i nostri diritti e difendere i nostri interessi di proletari.